domenica 24 febbraio 2013

Volersi bene non basta.

E' l'ultima sera, giuro che è l'ultima.
Così non si va avanti.
Guardo fuori dal finestrino di quell'auto appannata dalle troppe urla.
O mi vuole o non mi vuole. Non c'è alternativa.
Le lacrime rigano il mio volto, ho l'orribile vizio di piangere quando sono arrabbiata. E più piango, più mi arrabbio e mi innervosisco perchè mi sembra di essere così debole, e il nervosismo mi fa piangere ancora di più... E tutto questo mi fa scoppiare il cervello.
Lui è accanto a me, cerca di guardarmi in faccia da tutta la sera, ma lo evito molto bene.
Adesso è calmo, ha smesso di urlare.
Posso sentire il suo sguardo pacato su di me.
Mi ricorda mio padre, quando da piccola mi guardava con quell'aria divertita, quando gli tenevo il broncio.
Non mi volto, i suoi occhi azzurri li conosco anche troppo bene.
"Non guardarlo!", mi ripeto, "Non guardarlo o finirai per perderti in lui!"
Così continuo a fissare la pioggia, che si intravede a malapena, per tutto il vapore condensato che c'è. Nemmeno avessimo fatto l'amore!
"Voglio sapere se tu mi vuoi o no, perchè io ancora non l'ho capito!" dico stizzita, tutto d'un fiato. Pare quasi che parli con il vetro! Ma lui capisce dove voglio arrivare; lo sento sospirare e muoversi verso di me. Mi prende una mano e io cerco di scansarla, ma mi stringe in una morsa gentile anche se comunque fortissima.
Cerca di ignorare il mio sguardo vacuo che si posa dappertutto, tranne che sulla sua faccia. Cerca di ignorare la rigidità della mia mano tra le sue.
"Ti dirò... Io ti vorrei anche molto volentieri. Ma adesso non sono pronto".
Gli vorrei tirare un pugno in faccia.
"Non ho il coraggio, lo so" aggiunge.
"Quando lo avrai sarà troppo tardi". Forse già adesso è troppo tardi, ma non glielo dico.
Vorrei che lasciasse la mia mano, vorrei che le lacrime smettessero di colpo di uscire dai miei occhi, vorrei solo poter scappare da quella macchina.
Allunga una mano verso il mio volto, per accarezzarmi, ma io mi scanso brutalmente.
"No, non mi toccare."
La rabbia che ho dentro monta ancora di più: sa benissimo che quando sono così nervosa odio essere toccata. Ma tutti gli uomini hanno questo vizio orribile di volerti accarezzare quando tu vorresti solo picchiarli? Questo davvero non me lo spiego.
Ma lui mi attira a sé e fa per abbracciarmi.
Io mi irrigidisco e mi divincolo:
"No, lo sai, lo sai che quando mi incazzo odio essere abbracciata."
"Calmati" mi trattiene e mi stringe forte, anche se ho i pugni chiusi e non lo abbraccio. Non ce la faccio, ma sembra che non lo capisca. Mi odora i capelli e mi tiene così qualche secondo, poi mi sussurra all'orecchio:
"Ti voglio bene"
"Io no" gli rispondo, nera tra le lacrime.
Decide di riportarmi a casa e io decido di fargli ascoltare quella canzone che mi fa pensare così tanto a lui.
Questa è l'ultima occasione che ho per farlo.
Lui è un pò più allegro, quando arriviamo sotto casa mia.
Io sono molto triste, invece.
Mi dice di cercare le chiavi e che resterà ad aspettare fino a che non sarò entrata nel portone.
"Hai questi trenta secondi per dirmi che non vuoi che io vada via, ti prego, dillo. Dimmi che troverai quel maledetto coraggio. Dimmi che non posso uscire così dalla tua vita. Dillo." Penso questo, mentre armeggio con la borsa alla ricerca delle mie chiavi, che questa sera sono così importanti.
Lui mi guarda sempre molto tranquillo, in religioso silenzio.
Quando sente il tintinnio delle chiavi, mi guarda dritto negli occhi e mi fa quella domanda, quella che io odio, ad ogni addio.
"Me lo dai almeno un ultimo bacio?"
Io non do ultimi baci. Un mio ultimo bacio è sempre il penultimo, già lo so. Poi mi fa rabbia, l'idea dell'ultimo bacio, non ha senso! Perchè se tu senti di volermi baciare ancora e io sento di volertelo dare, questo maledetto bacio, vuol dire che non è finita! E io non ce la faccio.
Gli sorrido:
"Sì, va bene".
Mi avvicino a lui ma gli porgo la guancia, quando mi bacia. Non ci saranno ultimi baci.
Sento che ci è rimasto un pò male, che vorrebbe dirmi tante cose, ma io sto già aprendo lo sportello dell'auto...
"Aspetta, vieni qua!"
Mi avvicina di nuovo e mi bacia vicino all'orecchio, per poi dirmi, con voce tremante:
"Io ti voglio bene, e questo vale più di cento baci, ricordalo sempre".
Io mi stacco e scendo dalla macchina salutandolo con la mano.
Mentre apro il portone lo sento urlarmi dietro "Ci vediamo presto, per una birra ok?"
"No, è meglio di no".

Dieci minuti dopo il mio cellulare vibra; mi è arrivato un sms:
"Scusa se ti ho fatto soffrire, scusa se ti ho delusa, scusa se ti ho indotto a pensare brutte cose di me"
Mi viene solo da rispondere:
"Scusa se ti ho fatto arrabbiare, scusa se non posso rinunciare a te e se spero ancora che volerci bene basti per stare insieme. Scusa se mi mancherai."

E' andata. Finita. C'è chi dice che tornerà a coppe, c'è chi scommette su quanto tempo ci metterà.
Io? Io spero per lui che non torni.
E' tutto un pò più triste, ma sicuramente così è anche tutto più facile.


sabato 9 febbraio 2013

Fare la spesa o lavorare? Questo è il problema.

Io sono una femmina piuttosto Alfa. Di solito, lo sono.
Una di quelle femministe femminili, non so se avete presente... Quelle con le idee chiare quasi sempre, che hanno una posizione in ogni argomento di conversazione ma che comunque tentano di capire anche le idee dell'altro. Una decisa ma tollerante. Avete capito che intendo?
Ecco, DI SOLITO LO SONO.
Poi succedono queste situazioni che diventano eccezioni alla mia democrazia e alla mia tolleranza. E vado fuori di testa.

Lavoro in un piccolo ufficio ricavato in una vecchia concessionaria, e ancora più della metà del posto non è stato adattato, quindi c'è ancora l'insegna e un grande spazio inutilizzato.
L'ufficio è diviso nel nostro striminzito call centre e i vari ufficietti degli ingegneri.
Quel manzo del mio capo ha ben pensato di ingrandire il call centre e mettere più personale, visto tutto lo spazio che c'è. Insomma, il bellone ha fatto una bella pensata, niente da obbiettare a riguardo. Peccato che stia già facendo le selezioni per il nuovo personale, senza avere il posto dove piazzarlo.
Ha ben pensato che quattro di noi, le ragazze che ci sono da più tempo, dobbiamo trasferirci in un ufficio affiliato a più di 40 km dal solito, dovendo fare andata e ritorno due volte al giorno, visto che facciamo lo spezzato e non il turno.
E lui, sull'orario non transige! Niente turni, solo lo spezzato per tutti.
Noi, senza fare troppe polemiche, ci siamo organizzate con la superiore, nella seguente maniera: ci saremmo divise in due gruppi da quattro, e in base ai propri impegni saremmo andate nell'altro ufficio lontano una sola volta al giorno, facendo un'altra parte dello spezzato nell'ufficio vicino. Questo implicava che tutti i giorni, tutte noi ci saremmo fatte la sfacchinata una volta al giorno. Non era un gran problema, visto che il capo ci ha accordato un rimborso spese per chi prendeva l'auto.
Problema risolto, anche se nessuno era particolarmente felice.
Finchè non lo hanno saputo Lucifero e la sua amica Belzebù.
E da lì, l'inferno ha avuto inizio.
"No, io non ci voglio andare!" si è messa a praticamente a frignare.
"Insomma, tutti sanno che in un posto di lavoro non si può avere tutto, un sacrificio possiamo anche farlo, per un pò di tempo", le ho detto io, convinta che si sarebbe calmata.
In un secondo, le chiome platinate le si sono drizzate in testa e stava per inghiottirmi nel vortice dell'aldilà. Tutta indiavolata e nervosa, mi ha detto:
"Tu EnneN parli bene! Hai 21 anni e non hai responsabilità, non hai un marito", neanche tu Lucifero: ti sei appioppata a casa del tuo ragazzo così, e ci stai quando ti pare "non hai nessun tipo di impegno!"
Eccola! Ma che ne sai te? Non so quale santo mi ha trattenuta dal tirarle il computer che avevo davanti.
"Già, e poi facciamo un lavoro che ci impegna tutta la giornata!" si è messa a rincarare Belzebù "Non possiamo sprecare tutto quel tempo per il tragitto".
"Ragazze, facciamo un part-time di quattro ore! E ci danno il rimborso spese!" mi sono messa a ridere io.
Loro stavano per mangiarmi dopo questa, lo vedevo chiaramente dagli occhi fuori dalle orbite e il fumo che usciva dalle loro narici.
Qui è avvenuto il fatto che mi ha fatto perdere tutta la tolleranza di cui mi ero armata.
Dalla bocca di Lucifero, mentre Belzebù annuiva, sono uscite le seguenti parole:
"Io devo fare la spesa per far mangiare il mio fidanzato".
Allora, io sopporto tutto, cerco di capire TUTTO, ma questo non lo accetto.
LUCIFERO, FINO A IERI DICEVI CHE LA SPESA LA FAI FARE A TUA NONNA, LA CASA LA FAI PULIRE AL TUO FIDANZATO, FAI CUCINARE A TUA MADRE E TU DEVI SOLO PENSARE AD ANDARE DALL'ESTETISTA E DAL PARRUCCHIERE.
Sono convinta che ognuno abbia la sua vita, ma il lavoro ha una certa importanza. E tu non mi puoi dire che non puoi lavorare per fare la spesa, perchè se non lavori, la spesa con che la fai?
Insomma, questa donna che sta per compiere 30 anni è una completa cretina, che crede di poter trattare male chiunque perchè deve fare la spesa.
Ma quale spesa e spesa. E' che tu, Lucifero, non hai fame. La pappa ce l'hai già bella e scodellata.
Com'è che oggi, all'improvviso, sei diventata un'angelo del focolare? Ma soprattutto, perchè te la prendi con me, che ho solo espresso il mio parere? Ti darei tante di quelle mazzate da farti rintronare il cervello, per vedere se almeno così qualche idea al verso ci entra.
Più tardi, in serata, mi è stato riferito che ha chiamato il capo per questa faccenda, lamentandosi all'infinito e che lui le ha risposto così: "Tu devi parlare solo se le tue parole sono più intelligenti del tuo silenzio".
E io mi sono detta: QUESTO E' L'UOMO PERFETTO.

Detto questo, vi auguro un buon week-end, mentre ancora mi crogiolo nel dubbio: lavorare o fare la spesa?
Baci.


domenica 3 febbraio 2013

Ventuno anni di EnneN

Era il trenta gennaio millenovecentonovantadue, quando, all'ospedale di Ancona, emettevo il mio primo vagito. Mio padre dice che erano le sette e mezza del pomeriggio, mia madre non sa nemmeno bene che giorno era.
A riguardo, in passato abbiamo avuto molte liti: mia madre avrebbe giurato che era il trentuno, mio padre continuava a insistere sul trenta. Alla fine ho deciso io: il trenta era un numero che mi piaceva di più e ho deciso che era quello il giorno della mia nascita.
Sono nata un pò per scherzo, proprio come sono stata concepita (immagino per colpa dei programmi poco interessanti in tv): sono uscita dal pancione di sei mesi, e pesavo solo un chilo e duecento grammi. "Eri così piccolina!" mi dice mia madre, con gli occhi un pò lucidi, "Ma eri brutta un colpo, tutta piedi e testa".
Io, che piccola e magra non sono quasi mai più stata in tutta la vita, oltre che da un destino decisamente burlone, sono stata segnata anche da un nome più brutto della morte (che non vi dirò, ma fidatevi, che i miei hanno avuto un fantastico senso dell'umorismo, nel mettermelo). Ogni tanto, tutt'ora, prendo da parte mia madre e le chiedo perchè, con tutti i nomi belli, femminili ed eleganti, lei abbia scelto per me, SOLO per me (eh, già, perchè mia sorella ha un nome proprio elegante) proprio il peggiore. Lei ha pure l'arroganza di indignarsi e trattarmi male. Mah!
E se penso che ho già ventuno anni... mi viene una felicità immensa.
La mia vita, sarcastica quanto me, va avanti con colpi di scena che mi lasciano di stucco.
E io non vedo l'ora che passi un altro anno.

Pensate che quest'anno mia madre si è perfino ricordata di farmi gli auguri... il trenta!
Buona settimana!