giovedì 27 settembre 2012

46, 46, 46...


Il numero di Valentino Rossi. Mio padre crede che rappresenti questo.
La somma delle sue scarpe col tacco? pensa mia sorella.
Gli anni che dice di avere mia madre? No.
La 46 è la mia taglia.
Sì, quell'impietosa, orribile, impronunciabile L.
Large, Larga.
Dai, EnneN, sii sincera... A volte anche XL. Che c'è? Sono tettona, mica è colpa mia.
Premessa fatta, vorrei far capire a quelle belle S, Strettine che portare la 46 è più di una semplice taglia. La 46 è uno stile di vita.
Una di quelle cose che ti ricorda sempre che quando entri in un negozio, non devi servirti della commessa a meno che non si tratti di una questione di vita o di morte.
Le commesse amano guardarci senza chiederci la taglia, poi dicono: "Le taglie più grandine non le hanno fatte di questo modello". Oppure mi incoraggiano quando vedono che non mi si allacciano le camicie sul seno con un "Questa veste poco, prendo una taglia di più?"
No, per carità! Già mi basta la mia, quanta larghezza mi vuoi dare?
Oppure, la 46, è il costante motivo per il quale devi indossare i tacchi alti per essere figa. Ogni centimetro ti cava un chilo. Nel mio caso oltre che essere tarchiata, sono pure nana, in stile Snooki del Jersey Shore, quindi ogni sabato ho i piedi distrutti.
Poi sempre a causa di questa cavolo di 46, io devo andare a correre tutte le domeniche, quando potrei starmene a letto a poltrire come mia sorella (magra, quella maledetta), dopo essermi fatta il chapette tutta la settimana.
Per non parlare del fatto che non posso mangiare le lasagne della nonna fatte in casa, la  Nutella, le patatine, i panini con la maionese, e la pasta bianca (per me solo integrale). Il pane? cos'è questo sconosciuto? L'ho dovuto sostituire con le gallette di farro (avete presente, quelle cose che sembrano cartone tra i denti?) e mentre io mi mangio un'appetitosa galletta (bleah) mia sorella  mi sventola in faccia la cioccolata e i biscotti che amavo con tutta me stessa.
Ah, questa 46!
Il numero che ti ricorda che il tuo peso non è proprio piuma e che sei una pigra del cavolo! Ma dico io, quei chili di meno non li potevo avere di mio, invece di dovermeli guadagnare? Senza contare che non puoi dormire sugli allori, perchè appena molli un pò... ecco che peggiori un botto!
Lasciando da parte gli scherzi, io adoro il mio stile di vita 46. E' molto più sano di quanto possa credere la gente: mangio frutta e verdura, faccio movimento e non bevo (quasi) alcolici. Io mi prendo cura di me stessa, e lo adoro. Quante magre croniche lo fanno? Poche.
Sono curvilinea perchè lo sono. Posso perdere chili e tornare alla mia 44 ma non sarò mai una 40, ci posso scommettere la testa.
Io asciutta come un'acciuga sarei triste.
Lo dicono tutti, lo dico anch'io.
La 46 è uno stile di vita femminile, sexy per molti sensi, anche se è difficile crederlo. Spesso sono stata più sensuale e bella di molte magroline al mio fianco.
Proprio per questo, credo, care le mie colleghe 46, che la bellezza non sta in una taglia di vestiti, in dieci chili di troppo, in venti centimetri d'altezza in meno o in uno stile.
La bellezza vera sta nel fascino.
E quello o ce l'hai o no. Puoi essere magra quanto vuoi, ma senza quello, non sarai mai la donna enigmatica che desideri.
E per chiudere in bellezza (visto che ne stiamo parlando) citerei la splendida Geppi Cucciari: "L vuol dire Lo so che sono grassa, mi piacciono i ravioli: fatti i cazzi tuoi!"
E detto questo me ne andrei a letto, avvolta nel mio pigiamone extra large... Buona notte!

martedì 25 settembre 2012

Chi lascia una Crudelia DeMon...

...trova un T-Rex.
No, non sono impazzita, tranquille.
Giovedì mattina, incazzata come un'antilope perchè dal call centre non si erano degnati di fare il bonifico del mio (astronomico) stipendio, mi sono precipitata lì in stile toro furioso e mi sono licenziata una volta per tutte.
Perchè non l'hai fatto prima EnneN, se non ci lavori più?
Perchè il contratto in fabbrica è settimana per settimana e volevo avere il cu.. ehm, il collo coperto in caso di licenziamento.
Bhè, non avevo fatto i conti con la mia frustrazione (covata per un anno) e finalmente mi sono levata dai piedi quel call centre del cavolo.
Ah, il primo respiro che ho fatto dopo aver firmato quella lettera di licenziamento è stato subito più libero. Credevo che ora fosse tutto in discesa, mi bastasse lavorare, lavorare e lavorare, per avere uno stipendio decente.
Un'altra cosa con cui non avevo fatto i conti, era il mio nuovo "responsabile".
Proprio giovedì mi hanno presentato il caporeparto, appena rientrato dopo una degenza piuttosto lunga per l'asportazione di una ciste. Oddio, dire che me l'hanno presentato, è dire tanto, visto che la mia conoscenza con lui si è limitata all'intimazione "Metti la mascherina, sennò sono casini" sussurrata dal mio collega mentre stava passando.
Il T-Rex è il peggio stronzo (sorry per il francesismo) che c'è in tutta la fabbrica. Non a caso si è guadagnato questo soprannome, perchè fiuta gli errori, anche i più minimi, da lontano. Tutto quello che dice è legge, e ha sempre, SEMPRE ragione. E anche famoso perchè nessuno lo ha mai visto sorridere, mai. C'è chi sospetta che non sappia cosa sia, il saper sorridere. Leggende narrano che mangia i bambini e sevizia i dipendenti svogliati.
Però... E' un gran figo.
Non è il tipico bellone da film ma è molto piacente. Immaginatevi un uomo sui 35, asciutto e ben tenuto di fisico, abboniamo il fatto che non sorride (e magari diamoglielo come pregio, per renderlo tenebroso), condito da una posizione di potere (può decidere della mia vita e della mia morte in quella fabbrica) ed ecco a voi il T-Rex.
Vabbè, sarà un cattivone ma almeno mi rifaccio gli occhi. E se vuole punirmi, può farlo quando vuole, sono proprio una cattiva ragazza, se è questo che vuole ... Ok, ora cado nel ridicolo e nello sconcio.
Qualcosa mi dice che non avrò vita facile.
Ah, e io che credevo di aver chiuso con i mostri!

martedì 18 settembre 2012

L'amore non fa per me.

Lo Stronzo e la Bufala sono andati a convivere. Oppure ci andranno a fine mese.
Non voglio spiegare questa frase, l'ho solo voluta riportare così come m'è stata detta. Quello che più m'ha sorpreso, è che saperlo mi ha fatto male. Mi sono data subito della stupida, è naturale che qualcosa mi facesse male, in amore è sempre così.
Devo essere sincera e ammettere che non muoio d'amore per la notizia ricevuta, non mi struggo al pensiero che ora costruiranno una vita insieme, ho solo provato un lieve dolore. E ho iniziato a pensare al nostro passato, a quell'anno insieme, che Lo Stronzo ha buttato nel cesso come la peggiore delle schifezze.
Ma ora si sono rimessi insieme da un pezzo, e io non potevo aspettarmi altro, se non l'essere dimenticata. Da lui, perchè lei di me si ricorda, eccome. Continua a chiedere a tutti di me, continua a criticare tutto di me, continua a guardarmi male, a provocarmi, e io, io sorrido.
Lei ha l'oggetto (no, di lui non voglio parlarne come una persona) che amo, ma sono io quella che sorride.
Lei ha il premio più prezioso e mi guarda, invidiosa, verde di bile, dall'alto in basso; lascia sporgere il suo sederone opulento e butta in fuori il petto, con un'espressione che sembra una smorfia, stampata nel faccione paffuto, lo fa sempre, non può evitarlo, eppure io non ho niente! E' lei che ha tutto, ma non ha avuto cosa vuole davvero.
Io so perchè è invidiosa di me, se fossi in lei anche io lo sarei.
Credeva che sarei morta, era convinta di avermi atterrata, di avermi levato la vita. Poi ha visto che io ho preso a vivere lo stesso, anche meglio di prima. Ha visto che ero forte, ha visto che io avevo una cosa che lei  non ha mai avuto, una cosa che non l'avrebbe costretta a rimettersi con il suo ex del quale non le importava, se solo l'avesse avuta: il coraggio di stare (bene) da sola.
Non è una cosa da poco: credete che se richiamassi qualcuno dei miei ex, non ce ne sarebbe nessuno pronto a rimettersi con me? Certo che c'è! Ma quella è la via più facile, ritornare indietro invece di andare avanti.
Non è un comportamento da me. Io vado avanti, volto pagina, me ne lavo le mani.
Sono cambiata tantissimo, sono quella che volevo essere.
Sono una persona diversa, ora. Non sono la ragazzina che non sapeva nulla della vita, la mocciosa che marinava la scuola a un mese dalla maturità, pur di vedere Lo Stronzo.
Non sono più quella che beve di sabato sera e fa la gallina perchè lui non vuole fidanzarsi davvero con me. Eravamo insieme ogni giorno, e in ogni secondo passato insieme a lui, io mi sentivo morire. Eravamo tutto: amici, amanti, spalle su cui piangere. Lei s'è persa tutto il suo dolore, quello che provava per la sua stessa assenza, per la disoccupazione, per la vita. Mi sono presa cura di lui e non aveva senso, ma l'ho fatto anche se lo sapevo. Non volevo che andasse via, che mi lasciasse ma non facevo altro che piangere.
Ora, per fortuna non è così, piano, piano ho ripreso possesso di me stessa, ho perso l'abitudine di bere troppo, il peso in più, e ho smesso di piangere. Anzi, ora rido un sacco.
Le persone cambiano e non cambiano mai.
La soddisfazione più grande di tutta questa storia me l'ha data Acidella, la mia amica, quando m'ha detto: "Sei cambiata un botto, ma così sei bellissima", e non diceva (solo) fisicamente, ma come persona.
Questo è il complimento più bello.
Adesso, dopo tutto questo tempo, mi sto godendo la vita e non ho nulla a cui pensare.
Nemmeno se loro vanno a convivere.
Non fraintendetemi, non è che non mi piaccia l'amore, è bellissimo da vedere, quando è vero.
E io dubito che andare a convivere con un ragazzo che si dice di amare solo perchè sennò si sarebbe sole, sia vero.
Ma il succo della questione è : che convivano, che facciano figli, una squadra di calcio, uno zoo, quello che vogliono, basta che non mi mettano in mezzo.
Io continuerò a sorridere, qualsiasi cosa succeda.
La gioia è arrivata quando l'unico oggetto che me la procurava, è stato buttato.
E' stato come liberarsi d'un peso.
E ora la mattina mi alzo, mi guardo allo specchio amandomi profondamente e capisco che finalmente sono felice. Ma felice poi di cosa? Che l'amore non faccia per me.

domenica 16 settembre 2012

UNA RELAZIONE SODDISFACENTE SECONDO IL MASCHIO MEDIO.

Buona domenica!
Premetto che mi sto destreggiando (malissimo) tra il mio nuovo lavoro e tutto il resto della mia vita, e mi sorge un a domanda spontanea: ma voi donne sposate, con figli, lavoro e pure il cane da portare a passeggio... come fate? Io mi sto perdendo per colpa dei turni! Non immagino come sarebbe se mi sposassi o roba simile.
Premessa fatta, voglio parlarvi di una cosa che mi ha lasciata a dir poco scioccata.
Nella fabbrica dove lavoro ora, nel reparto imballaggio siamo tutti ragazzi tra i 18 e 35-40 anni e per la maggiore siamo donne, quindi vi potete immaginare il divertimento, per gli uomini.
Comunque, tra quei pochissimi uomini, che si contano sulle dita di una mano, c'è anche Donatello, il fidanzato   di G., una ragazza che lavora tra noi femminucce.
Ragazzo molto carino, non c'è che dire, alto, grazioso e gentile.
G., dal suo canto, è una ragazzona opulenta (molto opulenta) e poco curata (pochissimo curata), ma simpaticissima e davvero a modo.
Tutto sommato i due sono una bella coppia, e soprattutto sembrano molto affiatati.
Mi hanno raccontato che convivono e che si sono tatuati l'uno il nome dell'altra con un'aria così adorante... dovevate vederli, sembravano così innamorati! Mi sono detta che l'amore è bello, quando c'è.
Proprio mentre pensavo questo, G. si è allontanata, lasciandomi sola con Donatello, che da bravo ragazzo innamoratissimo della sua fidanzata, mi ha guardata seducente e ammiccante, stampandomi un bell'occhiolino da playboy.
Ah, fortuna che stanno insieme da una vita e che si amano alla follia! Lei si leva di torno per un minuto e lui si butta su di me così! Come se fosse single, come se fino ad un secondo prima non avesse detto nulla.
Io questi uomini proprio non li capisco! Ma per loro avere una relazione soddisfacente è fare i provoloni con tutte le ragazze che passano? Ah, sono veramente demotivata.
Gli uomini sono inaffidabili, credi che il tuo fidanzato non sia capace di questo o di quell'altro e poi scopri cose assurde! Io ho smesso di fidarmi e di interpretare i loro gesti.
Anche perchè se dopo 11 anni di fidanzamento, il tuo lui deve ancora decidere se sei la donna con cui vivere tutti i giorni o se vuole passare la vita con te, non è perchè è confuso, ma perchè non vuole pensarci. Punto.
Se un uomo trova ogni scusa possibile per non presentarti ai suoi genitori, non è perchè è un passo decisivo e vuole essere sicuro, ma perchè è sicuro di non volerlo fare.
Gli uomini sono semplici, sta a noi non renderli complicati.
Non dico che siano tutti così... ma a meno che non siano proprio innamorati... lo sono.
Poi le mie amiche mi dicono che sono troppo cinica! Tsè! Io dopo questo episodio non sono cinica, ma sono proprio senza alcuna fiducia nell'amore.
Speriamo che prima o poi arrivi un segno che mi faccia cambiare idea.

martedì 11 settembre 2012

Rinata dall'inferno.

Ma EnneN che fine ha fatto? E' quello che si chiedono tutti, negli ultimi 5 giorni.
E' morta? E' viva?
Ehm... Non lo so nemmeno io.
La mia vita si sta capovolgendo e io posso solo stare a guardare e sperare.
Ora vi spiego: la qui presente ragazzetta di 20 anni, con un diploma preso a zeppe nel culo (sorry per il francesismo), un anno di lavoro in un call centre, prima di venerdì non si era mai nemmeno scheggiata un'unghia. In soldoni: lavoro pesante pari a zero, nel mio curriculum.
Immaginatevi la mia sorpresa quando venerdì mi hanno chiamata da un'agenzia interinale per andare in prova in una fabbrica di cartoni.
Ho accettato in men che non si dica (attirata dai bei soldini che mi sarei intascata nel caso avessi lavorato un mese intero) e in ancora meno tempo mi sono ritrovata una penna in mano per firmare un contratto... di un solo giorno. Volevo suicidarmi, ma il resto è storia.
Io, una signorina che una volta si limava le unghie in un ufficio, ho lavorato (spaccandomi il chapette) venerdì, sabato, domenica, lunedì e pure oggi, per otto ore tutti i giorni, se non di più, con in testa un'antiestetica cuffietta e una soffocante mascherina. Cavolo, svegliarsi alle 4 è stata dura; quando passavamo davanti al pub per andare al lavoro, c'era ancora la gente dentro. Che rabbia! Domenica sono arrivata in fabbrica alla stessa ora nella quale uscivo dalla discoteca di solito.
Dopo il primo giorno avevo le mani ridotte una schifezza! Unghie rotte, tagli e cerotti dappertutto. Credevo che almeno così, assaporando il lavoro duro, avrei apprezzato di più il mio bello e fresco ufficio... ma no, mi dispiace, non è andata così. La fabbrica è meno stressante e soprattutto più pagata, anche se la stanchezza non è divertente.
Ieri ho fatto proprio la cosa più stupida! Dopo aver fatto scatole su scatole per nove ore e mezza, dopo un'oretta di riposo me ne sono andata anche al call centre. Stavo come in inferno, uno schifo. Appena l'agenzia mi ha fatto sapere che dovevo lavorare alle 5 del mattino anche oggi, me la sono filata.
Vaffan.... quel posto! La mia busta paga per un mese intero di lavoro è di 240€. Preferisco lavorare a settimane in fabbrica! Se mi rinnovano per un'altra settimana me ne vado da quel posto orribile!
Ah, ma prima di andarmene vado da Crudelia DeMon e le sbatto in faccia quella cavolo di busta paga e le dico: "Mangiateli questi quattrini... Ogni giorno in medicine!"
Quante volte rinascerò da questo inferno?
Vi saluto con uno sbadiglio... Buona serataaaaa!!!!

mercoledì 5 settembre 2012

6 ANNI E UN PAIO DI JEANS

Ieri, presa da una certa voglia di cambiare (cioè di mettermi qualcosa di diverso) ho scavato a fondo nell'armadio, alla ricerca di qualcosa di mettibile che non indosso da tanto.
In questa ricerca molto impegnativa (ho un armadio così pieno di vestiti da far impallidire la cabina armadio di Carrie Bradshaw) ho trovato una chicca meritevole di attenzione... Un paio di jeans datati 2006.
Premetto che io ho una vera e propria pazzia isterica per i jeans come per le scarpe. Sono indispensabili per me, senza di loro mi suiciderei. Ne ho come minimo 30 paia e li amo con tutta me stessa. A volte mi metto a contarli per assicurarmi che siano tutti lì.
Tornando a noi, recuperati quei jeans antichi, comprati per andare a scuola quando facevo la prima superiore (quella volta bisognava essere ben vestite ma semplici, le appariscenti come ora le prendevano in giro tutti), mi sono messa a ripensare a quel periodo storico della mia vita.
Era prima che "sbocciassi" se così si può dire, quindi non mi si filava nessuno di pezza, era considerata una vera cozza e pure un pò sfigatella. Fortunatamente nell'estate della prima superiore miracolosamente migliorai (anche grazie a una dieta) e per la seconda superiore ero carina e guardata (da pochi, ma era meglio di niente).
Ah, in che belle avventure mi avevano accompagnata, quei jeans scuri con la zip alle caviglie e un ragnetto ricamato su un fianco. Poi mi stavano da Dio.
Giusto per farmi due risate su quanto sono ingrassata ho deciso di riprovarmeli e... Ci entro. Anzi, vi dirò di più: mi fanno ancora quel sedere splendido come nel mio periodo d'oro.
Mi sono sentita come quelle delle pubblicità dei cereali, che da dimagrite rientrano nei jeans vecchi e sono tutte sorridenti.
Poi ho pensato un'altra cosa: ma io a quattordici anni portavo già una 46? Quindi vuol dire che in sei anni sono cambiata poco e niente. Ma io ricordo chiaramente che a sedici anni portavo una 44 e quei jeans mi stavano da favola lo stesso. Si, ne sono sicura, quando andavo a comprare i jeans prendevo le 44 e forse mi erano anche un pochino larghe, mentre ora... bhè ora evito di comprare i jeans per non far vedere a quella stronza della commessa che ho la 46 (e poi ne ho 30 paia, cosa me ne faccio di altri???). Mah, vai a capire.
Comunque è stata una bella sensazione.
Sono come quando avevo quattordici anni, che figata.
Oltre questa buona notizia, stamattina mi sono pesata e ho riperso il chilo che avevo ripreso dopo il matrimonio. Ah! In barba a quella stronza di mia sorella che era sicura che non ce l'avrei mai fatta. Piano, piano tornerò una 44 come ai vecchi tempi!

lunedì 3 settembre 2012

Un pò di pagine tutte mie...

Buonasera, buonasera.
Dopo due giorni durante i quali sono stata costretta a casa da una sfebbrata e un piede gonfio (non sono inciampata nè caduta, ma ai miei piedi piace gonfiarsi come palloncini, così, senza motivo), oggi sono ancora chiusa tra le mura della mia amorevole abitazione per sicurezza.
Mi auguro che il vostro week end sia stato più movimentato e divertente del mio, passato davanti alla tv e al computer, in assoluta solitudine. Ormai altre ventiquattro ore sola e poi potrò scrivere il manuale del perfetto eremita.
In tutto questo tempo passato nella straripante compagnia di me e me stessa ne ho approfittato per finire un paio di raccontini che avevo iniziato un pò di (tanto) tempo fa. Sì, insomma, una volta, da ragazzina più che altro, scrivevo. Insomma, non ero male, a molte delle mie amiche piacevano le mie storie, le trovavano originali. Ricordo ancora gli occhi sognanti della mia amica E2, che si era perdutamente innamorata di una serie di capitoli incentrati su un personaggio di mia invenzione, tutte le volte che le inviavo un nuovo capitolo della storia.
Ero più portata per la poesia, e avevo sempre un quaderno, un'agenda, un foglio  e una penna tra le mani. Io dovevo scrivere. Dovevo portare in versi o in prosa tutti i miei sentimenti: un paio di miei professori mi credevano una promessa della letteratura. Sono sempre stata una grande lettrice, ma a passare al di là del foglio... Ci vuole un certo talento.
Poi, però, si cresce e si mettono da parte i sogni e le passioni.
Fatto sta che la mia psicanalista, di fronte alla confessione di questa passione un pò sepolta dalla polvere, mi propose di fare un corso di scrittura creativa con il CSM e io ho accettato volentieri. Chissà che ritrovare i miei sogni non mi avrebbe aiutato a uscire dal tunnel della depressione. Il resto è storia.
Ora sono qui, a corso terminato da un bel pezzo, davanti al computer a scrivere dopo sei mesi se non più che non riaprivo Word.
E proprio dopo aver messo l'ultimo punto al mio ultimo racconto, il mio telefono squilla e (a volte il destino è proprio ironico!) l'organizzatrice del corso di scrittura mi dice che il 22 ci sarà la presentazione del libro con i nostri racconti.
Già, per la prima volta vedrò il mio nome stampato su una pagina, in maniera ufficiale... Mi piace il fatto che ci siano un pò di pagine tutte mie. Spero che i (pochi) lettori di questo libretto grossolano scritto da un gruppo di matti con un gran cuore, possano apprezzare le nostre storie, perchè ci rappresentano, in tutto il nostro coraggio.

P.s. Di stampo sicuramente diverso è il mio ultimo racconto, che vi riporto di seguito. Ho voglia che qualcuno legga questa storia appena sfornata.

P.p.s.s Vi avviso che io adoro il libro "Lolita" di Nabokov, quindi i miei personaggi femminili sono delle ninfette giovani, molto giovani, quindi non spaventatevi. Non sono una depravata.


LA BELLEZZA DI JANINE

Ricordo  come fosse ieri, il giorno nel quale i miei occhi furono deliziati dalla sua vista per la prima volta.
Era una calda giornata di fine primavera, il sole iniziava a farsi più audace e Parigi andava riempiendosi di turisti, rinvigorita dal suo fascino romantico.
Quell’anno lo ricordo particolarmente bene, visto che proprio in quel periodo venni colpito per la prima volta da una mancanza assoluta e oziosa di ispirazione artistica. Non riuscivo più a disegnare nulla, la mia mano non tracciava più linee dritte su un foglio da un’eternità, le mie qualità di artista si erano così affievolite che mi pareva un’impresa persino dare vita alle riproduzioni che mi chiedevano i miei clienti più assidui. Inutile dire che mi lasciai prendere dal panico quasi subito, annegando la mia disperazione nello spreco di denaro più assoluto, nella solitudine e nella depressione.
Non ricordo con precisione dove si trovasse il piccolo caffè nel quale solevo perdere le mie giornate, ma ricordo che era un posto poco trafficato, nascosto in un vicoletto tortuoso della città, dove i turisti non arrivavano se non spinti da qualche guida.
L’unica cosa che lo rendeva famoso nelle vicinanze era un il televisore nuovo che la proprietaria aveva comprato per guardare le partite di calcio dei mondiali.
Si chiamava “Chez Lorene”, nome piuttosto femminile per un locale piccolo e volgare come quello. Il colore che prevaleva su tutto era il marrone: qualsiasi cosa era in legno o finto legno, le mura erano state accuratamente imbiancate di marrone per dare quell’impressione, le tovaglie dei vecchi tavoli erano di un color nocciola che rendeva il tutto molto grossolano. Se non fosse stato per i quadri ritraenti varie pin-up, vecchie pubblicità anni ’60 e locandine di film dello stesso periodo, nessuno avrebbe mai compreso che il locale era ispirato agli Stati Uniti di quell’epoca.
Madame Lorene, l’opulenta e imbronciata proprietaria, era così orgogliosa del suo caffè che nessuno si era mai permesso di dirle nulla in proposito del suo cattivo gusto.
Dunque, ormai appassito dalla mancanza del mio genio artistico, mi consolavo passando le mie giornate a bighellonare in quel posto volgare, a bere rum e a ciarlare con gli squattrinati clienti abituali di Madame Lorene. Credevo che in un posto per popolani come quello, privo d’arte ed estetica degna di questo nome, nulla avrebbe potuto farmi sentire un artista fallito.
Come potevo sentirmi inferiore a qualche mio collega lì, dove l’unica cosa di buon gusto era l’insegna? Speravo che la mia autostima potesse riprendersi in fretta, ma dovevo fare i conti con l’improvviso senso estetico che Madame Lorene stava per dimostrare.
Quella giornata di maggio, arrivai al caffè verso le undici di mattina, come sempre.
Il mio umore era particolarmente nero, la vista della città così armoniosa mi rendeva ancora più schiavo della mia fase oscura.
Mi sedetti al solito tavolo fuori, sotto un consunto ombrellone color cioccolato, leggendo il giornale; ordinai un caffè e, forse non mi sarei accorto che la mano che poggiava la tazza davanti a me non era quella grassoccia di Madame Lorene, se la donnona non avesse chiamato la sconosciuta a gran voce:
“Janine, Monsieur Guerin a donné un pourboire puor toi!”
Alzai gli occhi d’instinto e mi trovai davanti a qualcosa di veramente meraviglioso: un volto femminile degno d’esser chiamato tale. Era un visino ovale, caratterizzato da dolcissimi occhi verdi, messi in evidenza dalla pelle abbronzata della ragazza. Un nasino elegante e all’insù attirava lo sguardo, per poi lasciarlo ricadere sulla sua bella bocca succosa, increspata in un sorriso.
Rimasi stupefatto: mai avevo visto più grazia espressa dalle ciglia d’una donna, mai avevo potuto ammirare una pelle più perfetta di quella, mai i raggi del sole avevano giocato tanto bene come facevano con i riflessi biondi di quei boccoli.
“Ah, oui Tante?” rispose la giovane, zelante, dirigendosi verso la cassa.
Estasiato dalla visione di quella immensa bellezza, chiesi a Madame Lorene chi fosse.
“Elle est la fille de ma soeur” mi rispose la donna, mentre puliva il bancone con molto olio di gomito.
Mi spiegò in seguito che la giovinetta aveva quattordici anni e aveva lasciato la scuola, così la sorella aveva pensato di mandarla a lavorare da lei, per non lasciarla in balia del suo destino.
Pensai immediatamente che l’ironia della sorte era molto sottile: una donna sgraziata come Madame Lorene aveva come nipote la grazia fatta persona. Infondo se il gusto dell’orrido della donna si era guadagnato clienti grossolani, la grande bellezza della piccola Janine ne fece guadagnare il doppio.
Già poche ore dopo la sua entrata nel caffè, la nipote della proprietaria aveva fatto scalpore e portato diversi curiosi a prendersi “un pot” per vederla.
Per quanto mi riguardava, la mia depressione non migliorò affatto alla vista della bellissima ragazzina. Quel giorno fu piuttosto disastroso per la mia autostima: il Signore era stato un artista assoluto a creare una cosa tanto meravigliosa. Certo, era stupido sentirsi un artista inferiore rispetto al Creatore, ma il mio ego distorto non trovava pace nemmeno in quella vista così appagante.
La studiai tutto il giorno, mi aveva scosso così tanto che ricordo ancora cosa indossava e come si muoveva.
Era alta, aveva un corpo snello e affusolato, affatto goffo come le altre sue coetanee, le sue gambe erano lunghe e lisce, scoperte da un paio di calzoncini rosa chiaro. Portava una maglietta bianca di cotone a maniche corte e la pelle appena ambrata da quel sole più caldo, sembrava caramello rovente.
La cosa più elegante del portamento della piccola e magra Janine era il modo di camminare: per non parlare della catenina d’argento che aveva legata attorno alla fina caviglia sinistra! Le dava il tocco magico, soprattutto accostata alle scarpe da ginnastica di tela nera.
Era il capolavoro più bello che si potesse avere la fortuna di vedere.
Nei giorni e le notti seguenti non ci fu che la bellezza di Janine nei miei pensieri.
Non facevo che pensare a quanto era assurda la grazia trasudata dalle sue mani, a quanto sembrasse sempre a suo agio, a quanto fosse semplice e ingenua. Ella non sapeva di essere bella, era così presa dalla vita nel locale che non si chiedeva perché chiunque la guardasse.
Non era possibile che la titolare d’una tale bellezza non peccasse di superbia, se avesse visto davvero l’immagine che lo specchio le rimandava; era meglio così, la sua ingenuità la rendeva ancora più bella.
Iniziarono ad affluire al locale orde di ragazzini, uomini, studenti e anche qualche lavoratore straniero.
Ricordo che quasi nessuno dei suddetti sapeva cosa ordinare (nonostante il menu non fosse così vasto), richiedendo sempre il consiglio di Janine. Allora la ragazza prendeva ad elencare tutto quello che il caffè offriva, alzando gli occhi verso il soffitto, concentrata per ricordare. Che tesoro che era! Quando pensava di aver dimenticato qualcosa corrugava le sopraciglia e sulla pelle dorata della sua fronte si formava una deliziosa rughetta. Gli uomini e i ragazzini, estasiati, rimanevano ad ascoltare la sua vocina dolce fino a che non avesse finito il suo minuzioso elenco, per poi prendere il solito caffè o succo d’arancia.
Per quanto mi riguardava li trovavo ridicoli. Certo, passavo anche io l’intera giornata a perdermi nella bellezza meravigliosa di Janine, ma evitavo di infastidirla o di essere maleducato: me ne stavo seduto al mio solito posto ad osservarla segretamente. Dopo una settimana conoscevo tutte le sue espressioni e sapevo tutti  i gesti che la imbarazzavano.
Lei, d’altro canto, non mi guardava quasi mai: mi salutava al mattino e alla sera, ma quando rimanevo l’unico cliente si metteva a pulire il bancone a testa bassa.
Un giorno, circa due settimane dopo il suo arrivo, la pizzicai a posare lo sguardo su di me: subito abbassò la testa e si rimise a pulire il bancone con lo straccio, con le guance che lentamente diventavano color porpora.
Se tutte le mie notti le passavo nel tormento di quella bellezza, quella notte la passai chiedendomi se Janine avesse un debole per me. La mia mente suggestionabile di artista vagava, arrivando ad immaginare se mai avessi potuto godere della vista di tutta la sua pelle, di ogni centimetro del suo corpo. Mi chiesi che colore avrebbero preso i suoi occhi se l’avessi sfiorata dove una ragazzina di quell’età non sa che si ricevono le carezze. E le sue gote? Il rossore l’avrebbe certamente invase se l’avessi baciata.
Roventi, ecco come furono i miei pensieri di quella notte; parve non finire mai, fu un bagno di sudore infinito, crogiolato nel dubbio e provocato dal pensiero di quelle coscie così lisce … Dio, un uomo della mia età non poteva guardare una bambina!
Ma era bella, troppo bella. Un capolavoro della natura, l’opera d’arte più bella che avesse mai dato luce alla mia vita.
Come potevo non amare tutto ciò, io che ero un artista? La mattina dopo, quando vidi il sorriso raggiante della piccola Janine, tutta la vergogna e l’agonia provate quella notte svanirono nel nulla.
Certo, la desideravo, ma non come un depravato o come uno dei ragazzini che la ammiravano. Desideravo lo spirito artistico che albergava in lei, desideravo produrre anche io un’opera d’arte come lei, che stupisse il mondo.
Più la guardavo, più mi stupiva. Più mi evitava, più voleva guardarmi. La sua manina tremava quando mi portava il caffè di mattina e lo faceva anche la sera, quando prendeva la mancia che le lasciavo sul tavolo.
E non è forse l’arte stessa che ama l’artista? Janine e io non avevamo speranza di amarci. I venti anni che ci separavano, la società non li avrebbe mai accettati.
Allora cosa potevo fare per non lasciar correre una bellezza simile? L’amore mi corrodeva, pareva che le mie giornate non avevano senso, non la notte, quando lei non era presente. Volevo solo ammirarla.
E l’avrei ammirata per sempre.
Un mattino trovai una matita accidentalmente dimenticata sul tavolo dove solevo sedermi.
Un segno del destino?
La mia spada d’un tempo ormai m’era nemica. La guardai con diffidenza, quasi nauseato.
Sapevo che prima o poi avrei dovuto fare i conti con la mia arte senza un bicchiere di rum davanti agli occhi, ma non mi sentivo affatto pronto.
Presi tra le mani quella matita, sudando freddo: erano settimane che non disegnavo e tutto ciò che avevo disegnato prima era stato un fallimento. Sapevo che non avrei sopportato un altro buco nell’acqua. Meditai a lungo, poi presi con cautela un tovagliolo di carta, deciso a rompere la mia astinenza dall’arte.
In quel momento si fece spazio in me la consapevolezza di dover riprodurre l’unica cosa che mi ronzava in testa da tempo: la vidi intenta a preparare un caffè, con i capelli dorati che le circondavano il volto, la mia bella Janine.
Promisi a me stesso che se non fossi riuscito a darle giustizia con un ritratto non avrei più messo piede in quel locale, non l’avrei più vista, perché in quel caso non meritavo di guardarla in viso.
Così deciso, devo dire che rispettai la mia promessa: impiegai un’intera giornata di scarabocchi e un migliaio di tovaglioli accartocciati, ma riuscii a farle un ritratto meraviglioso.
Incredulo di cosa avevo creato, ero sicuro che era stata la forza dell’amore a compiere quel miracolo, oppure era stata la bellezza di Janine a guidare la mia mano sui suoi tratti e a dar vita a quella meraviglia.
Quando l’ennesimo gruppo di adolescenti se ne fu andata, mi avvicinai alla mia musa; ancora ricordo il rossore che sorprese le sue gote e lo stupore nei suoi occhi, quando mi vide appropinquarmi a lei.
La guardai dritta in viso, lasciandomi inebriare dal suo profumo leggero; mai m’ero avvicinato tanto a quella meraviglia. Sorridendo divisi i due veli del tovagliolo sul quale avevo riprodotto la sua figura, tenendo il calco e donandole l’originale.
“Pour Vous, Mademoiselle” dissi, nel mio francese migliore.
La ragazza lo guardò e si portò una mano alla bocca, come se si vedesse allo specchio per la prima volta.
“Merci Monsieur! C’est… C’est… encroyable!” balbettò, tutta rossa e felice.
“Comme Vous” le risposi girandomi e andando via.
Il giorno seguente non tornai al caffè, ma mi dedicai a portare il calco del ritratto su tela. Dopo varie settimane di lavoro, la mia giovane musa era lì, che mi guardava come se fosse vera. Il risultato del mio lavoro era spettacolare, fu il mio capolavoro migliore, il mio cavallo di battaglia.
La critica lo amò, venne valutato tantissimo, quanto nessun altro mio quadro è stato valutato o verrà mai preso in considerazione.
Mi portò sulla cresta dell’onda, mi diede successo, cambiò la mia vita. Dopo quell’episodio, ogni volta che venivo colto dalla mancanza di ispirazione mi rifugiavo nel ricordo della leggiadria di Janine, senza esitare o a perder tempo con l’alcol e l’ozio. Appena tento di tracciare su carta il viso della ragazza, tutt’ora sento il brivido dell’arte che mi scorre dentro, come quel giorno nel caffè. Se non fosse stato per Madame Lorene e sua nipote, ora sarei un riproduttore d’opere squattrinato e alcolizzato.
Forse, se il mondo avesse saputo che avevo soltanto riportato la realtà su tela, non sarei considerato un grande pittore e la mia arte sarebbe chiamata squallida e volgare.
Non sono mai più stato “Chez Lorene” e non ho più visto la mia meravigliosa e dorata musa, quella fatta di carne e ossa, anche se a volte mi chiedo dove possa essere finita o come le va la vita. Credo, comunque che già essere a conoscenza del fatto che ella vive ed esiste davvero, sia una delle più grandi fortune per un’artista.
Un’altra fortuna?
Spesso mi chiedono chi voglio ringraziare per il mio successo e io mi sento onorato nel rispondere sempre:
“La bellezza di Janine”.